Zenobia in Palmira, Barcellona, Figueró, [1708]

 ATTO TERZO
 
 Atrio delizioso con fontane.
 
 SCENA PRIMA
 
 DECIO, ODENATO ed ASPASIA
 
 DECIO
 Sì, a’ miei prieghi, al mio zelo
 dono, signore, il reo Farnace.
 ODENATO
                                                       E porgi
 a pro del tuo rival voti al mio scettro?
 DECIO
850Di Aspasia i cenni or son miei voti.
 ODENATO
                                                                  Aspasia
 difende un traditor?
 ASPASIA
                                        Mi fa pietade
 quel cieco amor che il mosse;
 ne condanno la man ma ’l cor ne assolvo.
 ODENATO
 Quel cui giova la colpa
855le dà facil perdono.
 ASPASIA
 Ragion non te ne rendo e Aspasia sono.
 DECIO
 Ten priego ancor. Per quanto
 può meritar mia fede, a l’infelice
 la libertà concedi.
 ODENATO
860Ancor se ne abusò.
 DECIO
                                     Le sue catene
 lo avran reso più saggio.
 ASPASIA
                                               Io ti assicuro
 per lui da nuove offese; il cor feroce
 farò sì che oziose
 tutte lasci al mio piè le sue vendette.
865Così Aspasia per lui giura e promette.
 ODENATO
 La fede accetto e al merto
 del magnanimo Decio il reo concedo.
 Ma Zenobia vi aggiunga il regio assenso,
 che lei pure Farnace
870oltraggiò troppo iniquo e troppo audace.
 DECIO
 Amico ciel...
 ODENATO
                          Ah! Ch’egli,
 ei sol quella mi toglie
 rara felicità che a te desio.
 Resti il tuo amor qui più contento; addio.
 
875   Più tranquille le pupille
 del tuo bene
 qui rimanti a vagheggiar.
 
    Ch’io ripien de le mie pene
 vado altrove a sospirar.
 
 SCENA II
 
 ASPASIA e DECIO
 
 ASPASIA
880Va’; di Zenobia il voto
 vendica e assolve l’ire mie.
 DECIO
                                                   Qual posso
 sperar pietà? L’esempio
 del misero Odenato è mio spavento.
 ASPASIA
 Temer ti convenia pria di oltraggiarmi
885e dovevi, o incostante,
 esser sempre nemico o sempre amante.
 DECIO
 Bella, non più. Reo vuoi ch’io sia? Reo sono.
 Ma Farnace anche offese
 empiamente Odenato e ne ha perdono.
 ASPASIA
890La facile pietà fomenta i torti.
 DECIO
 E l’ estrema fierezza
 fa che amando disperi un cor fedele.
 ASPASIA
 Eh! (Vo’ tentarlo).
 DECIO
                                    Ora il vedrai, crudele. (Mostrando di voler partire)
 ASPASIA
 Dove?
 DECIO
                Fra’ Daci il piede o fra gli Sciti
895volga il mistero Decio;
 là vada, onde non giunga
 l’infausto nome a funestar quell’aure
 che tu respiri; o solo giunga alora
 che, a l’estremo sospir chiusi i suoi lumi,
900più non fia che pentita
 con pietà troppo tarda a te ’l richiami.
 (Fingo così, perché mi creda e m’ami). (Come sopra)
 ASPASIA
 Mio Decio (E che? Poss’io
 avvilirmi così? Già so ch’ei finge.
905Non partirà). Che più ti arresti? Parti.
 DECIO
 Parto, sì, ma per sempre.
 Venga meco un dolor ch’è disperato.
 Teco resti un furor ch’è vendicato.
 Non richiamarmi più. Già parto. Addio.
910E addio per sempre.
 ASPASIA
                                        (Ei parte). Ah! No, cor mio.
 
    Ferma il piè,
 non partir, mio ben, da me.
 Cedo l’ire e vinta sono.
 
    Vien, cor mio,
915e comprendi l’amor mio
 dal piacer de tuo perdono.
 
 DECIO
 Qual gioia...
 ASPASIA
                         (Taci. Ecco Farnace).
 
 SCENA III
 
 FARNACE e li suddetti
 
 FARNACE
                                                                 Eh! Parli (A Decio)
 il felice amor tuo; sugl’occhi istessi
 del tuo fiero rival parli più lieto.
920Il so; vittima e prezzo
 n’è la mia libertà. Mi toglie Aspasia
 dal piede i ceppi, ond’io gli sciolga al core.
 Vuol così la crudel. Parli il tuo amore.
 DECIO
 L’amor mio...
 ASPASIA
                            No. Ammutisca
925l’amor di Decio; e Aspasia
 qui risponda per lui;
 ma risponda, o Farnace,
 da figlia di Sapor, da tua regina.
 Molto, è vero, io ti deggio;
930assai per me fece il tuo braccio; assai
 il tuo zelo sofferse.
 De la Persia a l’onor fido servisti,
 al comando del padre, a l’odio mio;
 ma servisti anch’insieme al tuo dovere.
935Di oprar ciò che tu oprasti
 ha per gloria e per legge ogni vassallo.
 Ma il vassallo ha per legge
 fermar il volo a certi affetti. Basta...
 Tu m’intendi, o Farnace, ed al tuo merto
940non è scarsa mercede
 ch’io, tua sovrana, abbia il tuo amor sofferto.
 FARNACE
 Soffrir quel di Farnace è mia mercede,
 amar quello di Decio...
 ASPASIA
                                            È mio diletto.
 Voglio così. Tu datti pace. Ho detto.
 DECIO
945(Cari accenti!)
 FARNACE
                              (Alma ingrata).
 Non contrasto i tuoi voti. Ama a tua voglia.
 Ed a me resti in libertà lo sdegno. (Dando un’occhiata a Decio)
 DECIO
 Se per Decio favelli, ei nulla teme.
 FARNACE
 Suol le altezze ferir nembo che freme.
 ASPASIA
950Odi, Farnace. Inutili vendette
 più non ti chiede Aspasia e te le vieta.
 Con tal legge da’ ceppi
 libero uscisti; il tuo rival ne ha il merto;
 io ne diedi la fede. Ad Odenato
955debitrice son io de’ tuoi disegni.
 Tu per tema de’ miei, reggi i tuoi sdegni.
 FARNACE
 Intesi; in Odenato
 non cadran questi.
 ASPASIA
                                     E in Decio?
 FARNACE
 Mal si soffre un rival, quando è felice.
 DECIO
960Saprei... (A Farnace)
 ASPASIA
                    Taci. (A Decio) Anche in Decio (A Farnace)
 rispettar devi il mio voler.
 FARNACE
                                                  Più tosto
 dimmi il tuo amore.
 ASPASIA
                                        Anche il mio amor, se ’l vuoi,
 lo difenda per me dagl’odi tuoi.
 FARNACE
 La dura legge ubbidirò.
 ASPASIA
                                              Mel giuri?
 FARNACE
965(Cieli!)
 ASPASIA
                 Rispondi.
 FARNACE
                                     Il giuro.
 ASPASIA
 Mi basta. Addio Farnace.
 DECIO
 (Quanto parla in amor gioia che tace!)
 ASPASIA
 
    Da la fé di un cor vassallo (A Decio)
 il tuo impari a ben amar.
 
970   E non torni un nuovo fallo
 l’ire spente a ravvivar.
 
 DECIO
 
    Non temete, occhi vezzosi,
 ch’io vi torni ad irritar.
 
    Fu in mirarvi sì sdegnosi
975troppo acerbo il mio penar.
 
 SCENA IV
 
 FARNACE
 
 FARNACE
 Perfida, invan tu credi
 disarmar mie vendette. Io le comincio
 da l’odio del mio amor, prole mal nata
 di core incauto e di beltà spietata.
980In faccia delle genti
 vedrai qual sia Farnace.
 Il voto di Zenobia
 me n’apre il campo; io pugnerò; qualunque
 del pugnar fia l’evento,
985io n’avrò gloria e tu dispetto ed onta.
 Orgoglio di beltà vede con ira
 che possa ad un istante
 torsi a le sue catene un cor amante.
 
    Di perfida bellezza
990mi vendico così.
 
    Disprezzo chi mi sprezza,
 obblio chi mi tradì.
 
 SCENA V
 
 ZENOBIA
 
 ZENOBIA
 Amor che di Odenato
 vivi nel sen, dimmi, quel cor che pensa?
995Che risolve? Che fa per mio riposo?
 Verrà nemico in campo
 e in talamo real l’avrò poi sposo?
 Ah! Se ’l trovo nemico, ov’è ’l suo amore?
 E se sposo l’acquisto,
1000ov’è la gloria mia? No no, Odenato,
 per quest’alma è men grave
 languir senza speranza
 che goder senza gloria.
 Diverria tuo trionfo il mio possesso;
1005ma mio scorno saria la tua vittoria.
 
    A le brame de l’amor
 sento onor che già si oppone.
 
    Né gli lice esser felice
 sui trofei della ragione.
 
 SCENA VI
 
 ODENATO e ZENOBIA
 
 ODENATO
1010Di funesta vittoria
 esser devi, o Zenobia, il prezzo illustre.
 Così a’ numi ti vuole
 necessità di fatal voto astretta;
 e a me del grande acquisto
1015tocca il primo cimento, a me che t’amo,
 più di quanto amar posso, e che ho dolore
 di non poterti amar quanto vorrei.
 ZENOBIA
 Già l’amor, già la gloria
 desti avrà nel tuo sen spirti guerrieri.
1020Già penoso ti sembra ogni momento;
 e già sei col pensier nel gran cimento.
 ODENATO
 Per sì bella conquista,
 e che osar non dovrei? Ma ch’io la cerchi
 nel tuo rischio, o mia vita?
1025Che rubella al mio core
 la sacrilega man piaghi il tuo seno?
 Ah! Ch’a la sola idea,
 sudo, agghiaccio, vacillo e vengo meno.
 ZENOBIA
 Che? Col rossor di un vil consiglio in fronte
1030a Zenobia ritorni?
 ODENATO
 Torno, o bella regina,
 per svenare a’ tuoi piè le mie speranze.
 ZENOBIA
 E vuoi, crudo a te stesso!...
 ODENATO
 Pria che offender quel sen, pria che piagarti,
1035disperare, morir ma sempre amarti.
 ZENOBIA
 Intendo; in me rispetti
 la fiachezza del sesso; e volger l’armi
 in petto femminil stimi viltade.
 Quell’ardir, che mi ottenne
1040non volgar fama e non ignobil grido,
 a rendermi non basta
 degno oggetto e trofeo del tuo valore.
 ODENATO
 Mi saria gloria e fasto
 cader per te; ma nol consente amore.
 ZENOBIA
1045Se da l’amor prendi consiglio, ei t’armi,
 egli al campo ti guidi, egli al trionfo.
 Vedi, caro Odenato,
 non son io sposa tua, se son tua palma?
 ODENATO
 M’ami la tua bell’alma e son contento.
 ZENOBIA
1050Amor di scarsi voti,
 o ch’è debole amore o tosto pena.
 ODENATO
 Sia pur misero il mio, pria che crudele.
 ZENOBIA
 E non è crudeltà voler ch’ei pianga
 in te senza speranza,
1055in me senza riposo,
 timido e sconsolato,
 quando esser può felice e generoso?
 ODENATO
 Così vuol rio destin.
 ZENOBIA
                                       Così tu vuoi,
 fedel ma sconsigliato. Attendi pure
1060ch’altri, con men di fede e più di ardire,
 mi combatta e mi espugni.
 ODENATO
 O cieli!
 ZENOBIA
                 Il fatal voto
 mi espone a più rivali
 non vil conquista; alora
1065di te che fia? Che fia di me? Previeni
 la comune sciagura. Armati e vinci;
 o se a me de la pugna arride il fato,
 chi vincermi potrà, vinto Odenato?
 ODENATO
 (D’altri il mio ben?)
 ZENOBIA
                                        Su, fa’ più core. In campo
1070del tuo amor vien guerriero. Ecco ti chiedo
 per favor un cimento.
 Vieni se m’ami.
 ODENATO
                                O dio!
 Verrò nel campo.
 ZENOBIA
                                  E là ti attendo anch’io.
 
    Campion forte, invitto amante,
1075te nel campo attenderò.
 
    Se mi vince il tuo valore,
 nel tuo amor sarò felice;
 e se n’esco vincitrice,
 la sciagura de l’amore
1080con l’onor consolerò.
 
 SCENA VII
 
 ODENATO
 
 ODENATO
 Zenobia... Ahi, che promisi? Io l’empio acciaro
 volger nel tuo bel seno? Io pugnar teco?
 Verrò, verrò nel campo;
 a’ colpi del tuo braccio offrirò il petto,
1085scopo già de’ tuoi sguardi;
 e dirò: «Qui ferisci,
 o bellissima man, qui ’l ferro immergi.
 Sol quel ferro omicida
 entro il core non tocchi
1090l’immagine gentil de’ tuoi begl’occhi».
 
    Che bel morire se morirò,
 cara man, da te piagato!
 
    Più bella morte darmi non può
 per man d’amore la gloria e ’l fato.
 
 Anfiteatro.
 
 SCENA VIII
 
 ASPASIA e DECIO
 
 DECIO
1095Tanto piacer di un sì fatal cimento?
 ASPASIA
 Col senso de l’offesa
 si misura il piacer de la vendetta.
 DECIO
 Più generosa, o bella,
 con chi troppo è infelice.
 ASPASIA
1100E che? Son io cagion che ’l mio nemico
 cerchi nel rischio suo la sua fortuna?
 Zenobia col suo voto è la crudele.
 Essa è la sua miseria e ’l mio contento.
 Or venga pur, combatta pur. S’ei perde,
1105il suo dolor val l’onta mia. S’ei vince,
 di Zenobia il rossor paga i miei torti.
 Basta un di questi sfoghi a’ miei pensieri.
 DECIO
 Ma Decio?
 ASPASIA
                       Decio m’ami e Decio speri.
 DECIO
 
    È un merto amore
1110quando è comando
 del bel che s’ama.
 
    E di quel core
 che sta sperando
 lieta è la brama.
 
 ASPASIA
1115Basta, basta così, già i due campioni
 del fasto e de l’amor Palmira attende.
 DECIO
 Mio terror, mia speranza è ’l dubbio evento.
 ASPASIA
 Vediam come il destin serva al mio sdegno.
 E poi...
 DECIO
                 Siegui.
 ASPASIA
                                 Non più. Chi diè speranza
1120ad un timido amor, disse abbastanza.
 
    Molto dice alor che tace
 ben sovvente la beltà.
 
    È un favor, che rende audace,
 quell’amor ch’ ella concede;
1125ed è pegno di mercede
 quella speme ch’ella dà. (Vanno a sedere nell’anfiteatro che tutto si riempie di spettatori)
 
 SCENA IX
 
 ZENOBIA in abito da guerriero
 
 ZENOBIA
 Con qual cor, con qual lena
 vengo dove infelice,
 o vinta o vincitrice, esser degg’io?
1130Meco vien l’amor mio;
 ma contrasta la gloria al suo desire.
 Meco vien la mia gloria;
 ma la sconsiglia un innocente affetto.
 Odenato... Zenobia... Ah perché mai
1135brame così diverse in un sol core?
 Stelle, o meno di amore
 o meno di valor... Ma che favello?
 Potrei senz’esser empia
 sdegnarmi d’esser forte?
1140Più non osi l’amante
 di sedur l’eroina; e si difenda
 con più di gelosia del ciel un dono;
 amo; ma che? Grande e Zenobia io sono. (Si ritira in disparte)
 
 SCENA X
 
 ODENATO e ZENOBIA
 
 ODENATO
 
    Piangi, o core. Tu sei senza spene;
1145e con essa tu perdi il tuo bene
 ma lo perdi per esser crudel.
 
    Più ti piace, perché più ti lice,
 il tormento di amante infelice
 che il contento di sposo fedel.
 
 ZENOBIA
1150Odenato, ecco il campo (Zenobia si inoltra e Odenato la guarda senz’inoltrarsi)
 che a’ tuoi voti amorosi apre la sorte.
 Vieni; ma vieni forte,
 sì ch’io scemi il rossor de l’esser vinta
 o si aggiunga un gran fasto al vincer mio.
 ODENATO
1155(Che far, che dir poss’io?)
 ZENOBIA
                                                  (Tace Odenato?)
 Vieni, un valore avrai,
 se non eguale, almen non vile a fronte.
 Esso fece il mio voto ed esso ancora
 qui sosterrà del voto mio la fede.
1160Né ancor t’inoltri? È questo
 un tentar la vittoria? A che ne vieni!
 Chi qui ti trasse? Impallidisci e taci?
 ODENATO
 Nel mio pallor, nel mio silenzio mira...
 ZENOBIA
 Sì, quella nobil ira
1165che ministra esser dee del tuo godere.
 Quell’ira generosa... (Se gli accosta)
 ODENATO
                                        Io l’ire, o bella?
 Qui mi trasse l’amor. Egli egualmente
 regge i miei voti e l’opre mie consiglia.
 ZENOBIA
 Or che farai?
 ODENATO
                           Ciò che l’amor m’insegna.
 ZENOBIA
1170Mi piace; ecco il mio brando e il mio valore. (Mette mano alla spada)
 Stringi l’acciar. (Lo provoca)
 ODENATO
                                Non me lo insegna amore.
 ZENOBIA
 Che? Non ami Zenobia?
 ODENATO
 Ella de l’amor mio solo è la meta.
 ZENOBIA
 Di acquistarla ecco il campo.
 ODENATO
                                                      Amor mel vieta.
 ZENOBIA
1175Accettasti l’invitto.
 ODENATO
 Dal labbro alor tradito
 fu l’innocente amore.
 ZENOBIA
 La tenzon promettesti.
 ODENATO
 Ma ’l mio cor non vedesti.
 ZENOBIA
                                                  Ah! Ben vegg’io (Abbassa la spada)
1180che t’inganna, Odenato,
 sino a farti infelice il cieco affetto.
 Credi tu che al mio petto amor perdoni?
 Che in me non pianga il core? (Se gli accosta amorosa)
 Che tutto il mio pensier sia la mia fama?
 
1185   Anch’io so come piange,
 anch’io so quanto pena,
 quando non può goder contento amore.
 
    E so che non si frange
 col pianto la catena,
1190alor che un bel pensier tempra il dolore.
 
 Amo anch’io, bramo anch’io; ma poich’osservo
 l’alta necessità, ch’è nostra legge,
 freno il tenero affetto
 e gli sforzi d’amor virtù corregge.
1195Sin qui l’amante, or la nemica ascolta. (Ritirandosi addietro)
 
 SCENA XI
 
 FARNACE e li suddeti
 
 FARNACE
 (Giunge a tempo Farnace).
 ZENOBIA
 Giovi al lento Odenato
 Zenobia impaziente;
 su, quel ferro decida. (Alzando il ferro verso lui)
 ODENATO
                                          Io tanto ingrato!
 ZENOBIA
1200Già ingrato sei, già veggo
 ne l’induggio ostinato il mio disprezzo.
 Volontieri mi perde
 chi ricusa acquistarmi. Or custodisci
 il viver tuo che de’ miei sdegni è reo.
 ODENATO
1205Il rispetto...
 ZENOBIA
                         M’è oltraggio;
 o difenditi o mori. (Lo incalza ed ei si ritira)
 ODENATO
 Morir saprò ma non sarò crudele.
 ZENOBIA
 Né ti muove il periglio?
 ODENATO
 Il rischio più mortal fora l’ardire.
 ZENOBIA
1210Rispondimi con l’armi. Io tel comando.
 ODENATO
 Risponderti potrei,
 se avesse il cor la tempra egual col brando.
 FARNACE
 Poiché ’l niega Odenato, (Con la spada ignuda si presenta a Zenobia)
 io teco pugnerò.
 ODENATO
                                Quale ardimento?
 FARNACE
1215Quella, che tu non curi, è mia ragione.
 Zenobia è premio a tutti ed il suo voto
 la strada de l’acquisto apre a Farnace.
 ODENATO
 (Violenza fatale!)
 ZENOBIA
                                   Il soffrirai? (A Odenato)
 ODENATO
 Che risolvo, che fo?
 FARNACE
                                      Pronto ti attendo. (A Zenobia)
 ODENATO
1220Ferma. È mio quel cimento. (A Farnace, tirandolo addietro)
 FARNACE
                                                       Or qui l’adempi
 o a me ne lascia il preggio.
 ZENOBIA
 Odenato, a che tardi?
 ODENATO
 Mi arma rivalità. (Mette mano alla spada)
 FARNACE
                                   Vinci, o Zenobia,
 e serbati a Farnace.
 ZENOBIA
1225(Veggon gl’astri il mio cor). (Si mette in atto di pura difesa)
 FARNACE
                                                     (L’evento aspetto). (Si ritira in disparte)
 ODENATO
 Mia conquista è ’l tuo ferro. (Difendendosi da Zenobia le geta con un colpo la spada di mano e dipoi la raccoglie)
 ZENOBIA
 (Io vinta? Ah! Non prevalga
 al zelo del valor quel dell’affetto).
 No, non vincesti ancor.
 ODENATO
                                            Nobile sdegno,
1230non vinsi, no; né so dover al caso
 vittoria tanto illustre. Il ferro prendi. (Le rende il ferro, Zenobia lo prende e torna mettersi in atto di combattere)
 ZENOBIA
 E col ferro la gloria. Or ti difendi
 o delusa ti sveno.
 ODENATO
 Io così mi difendo. Ecco il mio seno. (Getta la spada e le presenta il petto)
 
1235   È favor de la mia sorte
 ogni colpo, ogni ferita
 che verrà, mio ben, da te.
 
    Se tu brami la mia morte,
 il difender la mia vita
1240nuovo error sarebbe in me.
 
 Son tuo trionfo, o bella.
 FARNACE
 È ver. Meco or si provi il tuo valore. (A Zenobia avanzandosi)
 ZENOBIA
 Frena l’inutil brama. Egli mi vinse (A Farnace)
 pria col braccio guerriero, indi con l’atto
1245del cor gentil. Sì, mi vincesti, o caro. (A Odenato)
 Son tua. Sei mio. Più contrastar non lice
 al linguaggio del ciel. (Decio ed Aspasia scendono intanto dal loro posto)
 FARNACE
                                          (Sono infelice). (Parte)
 ZENOBIA
 Ei dal voto mi assolve,
 perché compiuto è ’l voto.
 ODENATO
                                                 O me beato!
 ASPASIA
1250Dal cielo anch’io, Odenato,
 per non odiarti più prendo le leggi.
 ODENATO
 E le prendi dal pari
 per amar il tuo Decio. Ei ben n’ha il merto.
 ASPASIA
 Del mio cor sii pur certo. (A Decio)
 DECIO
                                                 O lieta sorte.
 ASPASIA
1255Dal mio gran padre intanto (A Decio)
 tu la mia man, voi l’amistà sincera (A Odenato e Zenobia)
 e una pace tranquilla abbia Palmira.
 DECIO
 Per augusto io l’accetto.
 ZENOBIA
 Io per l’Assiria ed immortal la giuro.
1260Vieni, mio vincitore.
 ODENATO
 Al nostro applauda anche l’Eroico Amore.
 
 CORO A QUATTRO
 
    Più chiaro e più lieto
 festeggi e risplenda
 l’amor degl’eroi.
 
1265   Ei stringa ed accenda
 più dolci e serene
 per noi le catene,
 le faci per noi.
 
 L’AMOR EROICO (In machina)
 Tacciano ormai de’ placidi concenti
1270le tenere armonie
 che con più dolci, amabili magie
 innamorati i venti
 fanno in sì lieto giorno
 d’Elisa il nome risonar d’intorno;
1275l’aura fatta canora
 «Elisa, Elisa» susurrar tra fronde
 sentesi ognor; «Elisa, Elisa» ancora
 con dolce mormorio replican l’onde.
 O vago nome in cui
1280degl’Elisi il piacer provano l’alme,
 solo in virtù de’ dolci accenti tui
 l’aspre tempeste fai volgere in calme;
 sospira la tua sorte, o cielo ibero,
 ma con gara d’amor l’Adda e ’l Sebeto.
1285Tu vai superbo e lieto
 d’esser fatto seren da sì bel volto.
 N’arde d’invidia ancor quanto si serra
 fra Battro e la divisa ultima Tile,
 che già non v’è del mondo estranio lido,
1290ove non va di sua bellezza il grido.
 
    «Viva, viva» ognor dirò
 dove ha cuna e tomba il sole,
 o leggiadra e bella prole
 de’ famosi, eccelsi eroi.
 
1295   «Viva Elisa» aggiugnerò
 e conceda il sen fecondo,
 nel piacer che spera il mondo
 a te fasti e gloria a noi.
 
 IL CORO (Replica)
 
    Più chiaro e più lieto
1300festeggi e risplenda
 l’amor degl’eroi.
 
    Ei stringa ed accenda
 più dolci e serene
 per noi le catene,
1305le faci per noi.
 
 Ballo d’eroi ed eroine.
 
 Fine del drama